Una terra, un vino, un popolo. Le origini della viticoltura nel Piceno (parte prima)

Il vino è una bevanda essenziale nella nostra cultura e da sempre ha rivestito un’importanza centrale. Ancora nel mondo contadino fino a pochi decenni fa, la vendemmia costituiva un rito, nel quale confluiva una complessa e profonda simbologia. Cerchiamo di ripercorrere le origini della viticoltura nella nostra terra: il Piceno.

Il vino è ed è stato uno dei simboli sociali più importanti per la storia dei popoli del Mediterraneo. Gli archeologi hanno datato addirittura al 5100 a.C. il primo rinvenimento di una giara, contenente i resti di una bevanda che può essere considerata l’antenata del nostro vino.

Tracce di proto-stabilimenti vinicoli sono attestate in Armenia, nella città di Areni, ed in Turchia, alle pendici del Tauros. Da queste aree, la coltivazione della vite si è verosimilmente diffusa in tutto il Medio Oriente: il Monte Ararat, la Mesopotamia e l’Egitto sono le prime regioni dove la vite è stata allevata per la produzione della preziosa bevanda. Non è un caso che nell’epopea sumera di Gilgamesh (Tavola IX), nella Bibbia (Genesi 9, 20-27) e nel mito egiziano di Osiride, la vendemmia costituisca un tema rilevante.

Andando avanti nel tempo, la viticoltura è stata esportata in tutto il Mediterraneo, grazie a popoli dediti al commercio e alla navigazione: i Micenei l’hanno importata in Grecia, i Fenici nelle colonie. Ciò è accaduto grosso modo fra la seconda metà del II millennio a.C. e l’inizio del I millennio a.C.

Il poeta greco Esiodo (VIII secolo a. C.) ci ha lasciato una descrizione molto precisa d’una tecnica di allevamento e vinificazione:

«Quando poi Orione e Sirio sono giunti a mezzo del cielo, e Aurora dalle dita di rosa riesce a vedere Arturo, allora, o Perse, raccogli tutti i grappoli d’uva e portali a casa; esponili al sole per dieci giorni e dieci notti; quindi per cinque giorni lasciali all’ombra, ed al sesto versa nei recipienti il dono di Dioniso ricco di letizie» (Le opere e i giorni, vv. 609-617).

In particolare, in questo passo Esiodo si riferisce ad una tecnica di vinificazione tipica della Beozia, che ricorda molto da vicino la produzione dell’odierno passito.

Il vino ha ricoperto un ruolo così centrale nella cultura dell’antica Grecia che anche gli ecisti (i capi scelti per le spedizioni delle colonizzazioni) portavano dalla madrepatria tralci di uva da impiantare nelle nuove colonie. Così, attorno all’VIII secolo a. C., i Greci importarono anche in Italia i loro vitigni. I Greci utilizzavano un tipo di coltivazione detta “ad alberello”: senza sostegni o con paletti semplici. Nell’Antichità, tale tecnica è descritta accuratamente da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia (I secolo a.C.).

La viticoltura italica di matrice greca è attestata figurativamente nella produzione di ceramiche decorate, che intorno al VI secolo a. C. prendono forme e nomi sempre più specifici, in relazione alla loro funzione. È interessante notare che gli storici dell’antica Grecia per lungo tempo hanno chiamato l’Italia con il nome di Enotria, ovvero la terra abitata dagli Enotri”, popolo del Sud Italia così chiamato in onore del loro capostipite: Enotro. Il nome Enotro deriverebbe, a sua volta, dal termine greco oinotron, cioè “palo da vigna”. Ciò confermerebbe il fatto che le popolazioni italiche possedessero una tecnica autoctona di viticoltura (con sostegno), ben diffusa nell’Italia meridionale. Il sostegno poteva essere costituito da un palo o dal tronco di un’altra specie arborea, come l’olmo o il leccio: si parla in tal caso di vite maritata.  L’uso del palo in vigna caratterizzerebbe tutti i popoli italici preromani, a differenza dei Greci.

Hydria Ricci
Scena di viticoltura: particolare dell’hydria Ricci (VII sec. a. C.), conservata a Roma nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.

In Italia, prima dell’arrivo dei Greci, la vite era già coltivata, anche se solo nella sua specie selvatica. Sin dall’VIII a.C., nella Valdarno, gli Etruschi si servivano del frutto della vitis vinifera sylvestris, cioè la forma selvatica della vitis vinifera sativa, diffusasi attraverso la mediazione greca. Ben presto gli Etruschi si resero conto che l’addomesticamento della vite era essenziale per migliorare la resa della pianta. Per tale motivo, ne adottarono la coltivazione, attraverso tecniche più adatte ai loro climi e alle loro terre. Così, mentre nella Magna Grecia i coloni diffondevano la viticoltura ad alberello, nell’Italia centro-settentrionale gli Etruschi sviluppavano la viticoltura con sostegno. All’area della loro massima espansione coincide la diffusione della coltivazione della vite a sostegno vivo, sia in Campania che nell’Italia centro-settentrionale.

Molti studiosi hanno parlato di una sorta di “frontiera nascosta” in Campania, tra gli Etruschi di Capua e i Calcidesi di Cuma, che potrebbe essere geograficamente identificata con il corso del fiume Sele.

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