Giancarlo Basili

IMG_2071 2Giancarlo Basili è uno dei più celebri scenografi italiani. Nato a Montefiore Dell’Aso nel 1952, dopo essersi diplomato in ceramica presso l’Istituto d’Arte “U. Preziotti” di Fermo, si iscrive all’Accademia delle Belle Arti di Bologna al corso di scenografia. Durante gli anni universitari, a partire dal 1972, Basili ha la fortuna di compiere un’esperienza unica: studiare a stretto contatto con i pittori scenografi del Teatro Comunale di Bologna.

Dimostrato un immenso talento, nel 1979 crea il Laboratorio di Scenografia. Realizza diverse opere, fra cui le scene per il balletto di Nurejev Miss Jolie, per il teatro Nancy in Francia.

Dal 1982 al 1988 avvia un sodalizio artistico con il regista Pier Luigi Pizzi, realizzando le scenografie per importanti produzioni, fra le quali è da ricordare Parsifal al teatro La Fenice di Venezia e Edipo Re per la compagnia di Glauco Mauri.

Nel 1998 diventa direttore degli allestimenti scenici del Comunale di Bologna. Contemporaneamente progetta le scenografie per numerosi video musicali di cantanti come Carboni, Jovanotti, Ron, Baccini.

Dal 2001 è direttore artistico del Festival Sinfonie di Cinema a Montefiore dell’Aso. Nel 2010 progetta il padiglione italiano per Expo Shangai 2010, il quale ottiene più di 8.500.000 visitatori. Dato il travolgente successo di tale impresa, nel 2014 gli viene commissionato l’allestimento del Padiglione Zero per Expo Milano 2015, che stupisce tutti per l’estrema originalità e qualità del lavoro.

Intenso anche il suo lavoro sul set cinematografico, che continua ininterrotto fino ai nostri giorni dal 1979, al fianco di registi del calibro di Marco Ferreri (Chiedo Asilo, 1979), Marco Bellocchio (Gli occhi la bocca, 1982; Enrico IV, 1983), Pupi Avati (Zeder e Una gita scolastica, 1983; Noi tre e Impiegati, 1884; Festa di laurea, 1985), Nanni Moretti (Palombella Rossa, 1989; La stanza del figlio, 2000; Il caimano, 2005), Daniele Luchetti  (Domani accadrà, 1988; Il portaborse e La settimana della sfinge, 1990; La scuola, 1995; I piccoli maestri, 1998; Dillo con parole mie, 2002; Un’altra vita, 2009; Anni felici, 2012), Marco Tullio Giordana (Quando sei nato non puoi nasconderti, 2004; Sanguepazzo, 2007; Romanzo di una strage, 2010; Lea, 2014), Gabriele Salvatores (Sud, 1993; Nirvana, 1996; Io non ho paura, 2002), Paolo Virzì (Ovosodo, 1997), Carlo Mazzacurati (Notte italiana, 1987; La passione, 2009; L’amore ritrovato, 2004; La sedia della felicità, 2012), Cristina Comencini (Quando la notte, 2010), Gianni Amelio (Così ridevano, 1998; Le chiavi di casa, 2003; L’intrepido, 2013).

Expo Milano 2015: un dietro le quinte con lo scenografo Giancarlo Basili

IMG_2071 2Lunedì 28 dicembre 2015, presso il cinema Sala degli Artisti di Fermo, l’associazione Ex-Allievi Istituto Statale d’Arte “U. Preziotti” di Fermo ha organizzato un incontro con lo scenografo Giancarlo Basili, il quale ha presentato uno dei suoi ultimi e più importanti lavori: l’allestimento del Padiglione Zero all’Expo Milano 2015.

Basili è nato a Montefiore dell’Aso nel 1952. Dopo essersi diplomato presso il Preziotti di Fermo, si è laureato in scenografia all’Accademia delle Belle Arti di Bologna. Scenografo di fama internazionale, ha lavorato per i più importanti teatri d’Italia (fra cui il Comunale di Bologna e La Fenice di Venezia) ed ha collaborato con notissimi registi, sia in campo teatrale che cinematografico, come Pier Luigi Pizzi, Nanni Moretti, Marco Tullio Giordana, Gabriele Salvatores, Carlo Mazzacurati.

Si è dunque trattato di un appuntamento di grande importanza, cui la cittadinanza ha risposto con partecipata affluenza. Il Maestro ha offerto una rapida panoramica del progetto e dell’allestimento di uno dei padiglioni più amati dell’Expo.

Il Padiglione Zero, il cui progetto architettonico è stato firmato da De Lucchi, ha costituito una sfida, poiché doveva condensare il senso dell’Expo in relazione al tema scelto: Nutrire il pianeta. Ecco che allora Basili ha raccontato la storia della civiltà, a partire dalla nascita dell’agricoltura e dell’allevamento, fino alle questioni attuali: lo spreco, la povertà, le tragedie che hanno piagato il secolo scorso.

“L’Expo – ha sottolineato il Maestro – è stata un’esperienza fondamentale per la politica, perché ha dimostrato che l’Italia è capace di reagire”. Allo stesso tempo, ha dimostrato al mondo intero la grande maestria artigiana delle aziende italiane. Il Padiglione Zero, infatti, è stato realizzato interamente a mano ed il successo è stato tale, che le autorità hanno deciso di non smantellarlo, ma di trasformarlo in un centro di ricerca.

Il Maestro Giancarlo Basili è un esempio vivente di come il territorio sia in grado di produrre eccellenze, attraverso un felice connubio di tradizione, storia, istruzione. Il territorio funziona se riesce a creare sinergie.

Impressum

Web: www.sybillapicena.wordpress.com

Email: redazionegsblog@gmail.com

Sede: Fermo

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Osvaldo Licini

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Foto del pittore appesa nel suo studio (Casa Museo Licini).

 

Osvaldo Licini nacque a Monte Vidon Corrado il 20 Marzo 1894, da genitori entrambi creativi: padre cartellonista e madre direttrice di un atelier di moda. Poco dopo la sua nascita, i suoi si trasferirono a Parigi ed egli restò a vivere nel paese natale, dove trascorse i primi anni di vita con i nonni paterni.

Verso il 1911 il giovane Licini si trasferì a Bologna. Qui si iscrisse al corso di pittura dell’Accademia di Belle Arti. Nel 1914, sempre nel capoluogo emiliano, organizzò la sua prima esposizione insieme al compagno di corsi Giorgio Morandi, Mario Bacchelli, Severo Pozzati e Giacomo Vespignani. La collettiva fu subito definita la “mostra dei secessionisti”, per via del loro spirito anti-accademico, sottolineato dalla presenza di Marinetti, presente all’apertura. In quegli anni, Licini fu seguace del movimento futurista, di cui cercò di cogliere lo spirito non solo con il pennello, ma anche con la penna: fu autore di una raccolta di storie musicate intitolata “I racconti di Bruto”.

Dopo il diploma, andò a studiare scultura all’Accademia di Firenze, ma il suo corso di studi fu interrotto dallo scoppio della Grande Guerra:  nel 1915 partì soldato e venne ferito ad una gamba. Fu proprio durante la convalescenza che conobbe la donna che sarebbe diventata la madre del suo unico figlio naturale, Paolo.

Nel 1917 si trasferì a Parigi, che in quegli anni era la capitale mondiale della cultura: un crogiuolo di musicisti, artisti, letterati e filosofi.  Nella capitale francese, ebbe la straordinaria opportunità di conoscere Picasso e strinse amicizia con Modigliani. Licini cominciò a dividersi fra Firenze e Parigi, con permanenze più o meno lunghe a Monte Vidon Corrado, Montefalcone, Porto San Giorgio e Fermo. In quest’ultima divenne un insegnante del prestigioso Istituto Tecnico Industriale di Fermo, continuando allo stesso tempo ad esporre le sue opere nella capitale francese.

Nel 1926 sposò la pittrice svedese Nanny Hellström, decidendo di trasferirsi in pianta stabile nel paese natale, Monte Vidon Corrado. La “vita di provincia” non frenò la sua carriera artistica, che anzi divenne sempre più impegnativa e fitta d’appuntamenti, con esposizioni a Milano, Parigi, Roma, Basilea, Berna e Stoccolma.

A proposito dello stile pittorico di quegli anni, Licini stesso scrisse: “La mia pittura preastratta è pittura fauve che viene da Cèzanne, Van Gogh e Matisse, tra i maestri di prim’ordine, e i miei disegni lo possono provare”.

Nel 1935, il suo stile mutò direzione: fu uno dei primissimi artisti italiani a sperimentare l’astrattismo che conobbe a Parigi, attraverso le opere di Vasilij Kandiskij, Klee e Man Ray.

A partire dagli anni ’40, nonostante il fermo proposito di non esporre nulla per tutto il periodo della Seconda guerra mondiale, cominciò ad avvicinarsi al surrealismo con influenze simboliste e nordiche, che, unendosi tra loro, davano forma ad un mondo fantastico, abitato da creature inquietanti, eroiche ed affascinanti. Nacquero così le Amalassunte, le sue più amate creature (1945). L’Amalassunta è, come ha scritto Licini stesso poi, “la luna nostra bella, garantita d’argento per l’eternità, personificata in poche parole, amica di ogni cuore un poco stanco”.

Nell’aprile del 1958 Osvaldo Licini espose per la terza volta alla Biennale di Venezia e fu insignito del Gran Premio per la Pittura. Di lì a poco, si spense nella sua casa di Monte Vidon Corrado, in un ritirato rifugio, tra le sue amate colline marchigiane.

Come per per altri uomini e donne d’arte di ogni luogo e tempo, anche per Licini il paesaggio fu un elemento fondamentale nella sua opera. Il paesaggio idilliaco di Monte Vidon Corrado si legò in modo profondo alla sua pittura, tanto da diventarne una componente essenziale. Licini, benché riservato, fu una personalità molto nota e amata nel suo paese, tanto da influenzarne la vita politica. I suoi concittadini, ammaliati dalla sua personalità, lo elessero sindaco per ben due volte, candidato con il Partito Comunista Italiano.

Bibliografia essenziale: 

www.centrostudiosvaldolicini.it

Simoni D. a cura di, Casa Museo Osvaldo Licini, Rivista Centro Studi Osvaldo Licini 0/2013, Monte Vidon Corrado, 2013

Il Piceno

Piceno (Picenum) è il nome che i Romani diedero alla loro Quinta Regio, desumendone il nome dal popolo dei Piceni, che abitavano questa terra già dall’XI secolo a. C.

Centro storico di Montedinove
Centro storico di Montedinove (AP)

L’antico Piceno abbracciava grossomodo le Marche meridionali, l’attuale provincia di Teramo e una parte dell’attuale provincia di Pescara. I suoi confini naturali erano: il fiume Esino a nord, l’Appennino ad Ovest, il fiume Saline a sud e il mar Adriatico ad est.

Oggi si è soliti riferirsi al Piceno, intendendo la sola provincia di Ascoli Piceno.

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Le Marche

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Il Monte Conero, uno dei luoghi simbolo delle Marche

Le Marche sono una regione dell’Italia centrale, situata lungo la costa adriatica. Essa è suddivisa in cinque province: Pesaro-Urbino, Ancona, Macerata, Fermo e Ascoli Piceno.

Già a partire dall’Età del Ferro, questa terra fu abitata da una miriade di popoli : Piceni, Siculi, Umbri e Galli. Anche nei secoli successivi, restò una terra variopinta, suddivisa in Stati più o meno estesi, più o meno duraturi. Non a caso, dopo essere stata nominata Picenum dai Romani, assunse durante il Medioevo il nome di Marche, proprio al plurale. In epoca feudale, infatti, la marca indicava un territorio di confine e le Marche lo furono di diritto, prima del Sacro Romano Impero, poi dello Stato Pontificio.

Le Marche restano un regione al plurale ancora oggi, un Arlecchino di città, di borghi, di dialetti e di paesaggi! Dai suoi colli, lo sguardo spazia dal mare Adriatico ai monti Appennini, in un paesaggio dolce e ondulato, che sembra più frutto di un sogno, che della realtà.

Le Marche in Europa

Il Museo delle Tombe Picene di Montedinove. Una nuova splendida realtà museale

Montedinove, 8 novembre 2015. Approfittando d’una bella giornata di sole autunnale, ci siamo recati a Montedinove, con l’intento di scoprire una nuovissima realtà del territorio: il Museo delle Tombe Picene.

Abbiamo avuto l’immensa fortuna di essere accompagnati dal Vicesindaco, il Sig. Eraldo Vagnetti, che ci ha illustrato i vari reperti e soprattutto ci ha raccontato la storia del museo, essendone stato uno dei principali protagonisti.

Tutto è cominciato nel 1986, quando i lavori di costruzione d’una strada in località colle Pigna hanno portato alla luce una gran quantità di reperti ceramici e metallici. Quel luogo, in realtà, non era nuovo a rinvenimenti di materiale archeologico: i vecchi del luogo raccontavano che passando con l’aratro portavano alla luce una grande quantità di frammenti di ceramica, pezzi di vasi, che chiamavano “pignatte”, secondo l’uso popolare; e proprio per questo, quella località prese il nome di colle Pigna.

Le campagne di scavo si sono protratte a più riprese dalla fine degli anni Ottanta alla fine degli anni Novanta. I ritrovamenti più importanti, dopo un attento restauro, sono stati esposti nel Museo Archeologico di Ascoli Piceno. Montedinove ed i suoi orgogliosi abitanti hanno da subito lottato, per riportare a casa  le tombe dei loro antenati: così sarebbe stato giusto per gli uomini e le donne lì sepolti da più di duemila anni.

Finalmente, il 26 ottobre 2015, dopo anni di progettazione e di lavori, il Comune di Montedinove è riuscito ad aprire il nuovo centro museale nel cuore del suo borgo antico. L’ex chiesa seicentesca delle Clarisse, dopo una gentile donazione del Demanio, è diventata sede del Museo delle Tombe Picene.

Le sepolture appartenevano probabilmente ad un gruppo familiare, che doveva abitare in un villaggio identificato in località Case Arpini, vicino Rotella. La necropoli ha restituito ricchi corredi risalenti al VII e VI secolo a.C., la cui fattura lascia intendere una probabile parentela con le famiglie di alto lignaggio di Belmonte Piceno. Le somiglianze fra i reperti provenienti dai due siti sono incredibili: ciò si spiega con il fatto che ogni tribù avesse una propria tipologia di monili, disegni e stoffe, tramandati di generazione in generazione.

Ad un primo sguardo, si nota la grande differenza fra sepolture maschili e femminili: le prime molto spartane, le seconde ricchissime di gioielli, stoffe, vasellame. Possiamo soltanto immaginare lo splendore di queste nobili donne.

La tomba più antica è quella della coppia capostipite: l’uomo ha un corredo piuttosto povero, mentre lo scheletro della donna è accompagnato da una quantità incredibile di gioielli e manufatti. Curiosamente, accanto al suo corpo è stata posta anche una lancia: ciò voleva indicare il ruolo predominante che ella ricopriva all’interno del villaggio. Anche a Belmonte Piceno si trova un caso simile in quella che viene chiamata la tomba delle Amazzoni.

Nelle tombe più tarde, i corredi femminili si arricchiscono ulteriormente e si trovano due elementi molto particolari, come la grande fibula a gobbe traforata e ageminata ed il pettorale femminile, simbolo della fertilità della donna.

Fra le tombe maschili, è da citare una pregevolissima spada, che non trova nessun altro riscontro se non nel celeberrimo guerriero di Capestrano, esposto al museo di Chieti.

Non possiamo che esprimere il nostro stupore, prossimo alla commozione, per una realtà museale che, come anche il Museo archeologico di Belmonte Piceno, rappresenta un segnale, una sfida lanciata al futuro. Stiamo forse entrando in una nuova epoca, in cui finalmente ci stiamo accorgendo dei tesori, frutto del nostro affascinante passato. Forse è giunto il momento di tramandare e riscoprire questo passato illustre, per avere un’opportunità in più nel futuro; un futuro, che sia frutto di un felice connubio fra tradizione ed innovazione. E questo ci piace!

Per la prossima primavera, turisti e appassionati saranno in grado di ammirare gli splendidi materiali, mai esposti, rinvenuti durante gli scavi. Il Museo delle Tombe Picene è situato in largo Lea Caracini,  presso l’ex Convento delle Clarisse. Per informazioni sui giorni e gli orari d’apertura, è possibile contattare il Comune di Montedinove allo 0736 829410 (tutti i giorni dal lunedì al venerdì).

Cogliamo l’occasione per ringraziare di nuovo la squisita gentilezza del vicesindaco, Eraldo Vagnetti, che ci ha permesso di scoprire un altro meraviglioso angolo del nostro territorio.