Le Marche di Guido Piovene

Guido Piovene, giornalista e scrittore italiano, vissuto tra il 1907 e il 1974, è celebre per aver scritto Viaggio in Italia, una straordinaria guida letteraria del nostro Bel Paese. Il libro fu il frutto di un reportage che la RAI gli commissionò per un ciclo di trasmissioni radiofoniche, andate in onda tra il 1953 e il 1956. Nonostante siano passati più di cinquant’anni, lo sguardo attento, quasi profetico, dell’autore e la sua maestria letteraria ne fanno un’opera ancora attuale.

Leggere un libro di questo tipo oggi ha lo stesso significato della lettura delle Periegesi di Pausania o della Geografia di Strabone: è uno studio del passato (in questo caso, il nostro passato), che ci fa notare cosa è cambiato e cosa no da quel momento e ci dà lo spunto per riflettere sul nostro presente.

Ritratto fotografico di Guido Piovene (fonte: Wikipedia).

Lo stesso Piovene, attraversando la nostra Penisola, fotografò un Paese in continuo movimento/cambiamento: “Mentre percorrevo l’Italia, e scrivevo dopo ogni tappa quello che avevo appena visto, la situazione mi cambiava in parte alle spalle… Industrie si chiudevano, altre si aprivano; decadevano prefetti e sindaci; nascevano nuove province”.

In questa sua fotografia, l’immagine delle Marche è pittoresca e ancora attuale e abbiamo voluto riproporla, perchè dà piacere rileggerla. Di seguito abbiamo trascritto quelle che per noi sono le parti salienti del capitolo che Piovene ha dedicato alle Marche: è curioso, per noi marchigiani, vedere come un vicentino abbia saputo cogliere con così tanto acume lo spirito della nostra terra.

Le Marche sono un plurale. Il nord ha tinta romagnola; l’influenza toscana ed umbra è manifesta lungo la dorsale appenninica; la provincia di Ascoli Piceno è un’anticamera dell’Abruzzo e della Sabina. Ancona, città marinara, fa parte per sé stessa. In uno spazio così breve, anche la lingua muta e ha impronte romagnole, toscane, umbre, abruzzesi, secondo i luoghi. Tanti diversi spiriti ed influenze, palesi anche nel paesaggio, sembrano distillarsi e compenetrarsi nel tratto più centrale, in cui sorgono Macerata, Recanati, Loreto, Camerino. Nessuna città marchigiana ha un vero predominio nella regione. Verso Bologna gravita il pesarese e parte dell’anconetano; il resto verso Roma, supremo miraggio per tutti.

Ma per quanto ne accolgano i riverberi, le Marche non somigliano veramente né alla Toscana né alla Romagna né all’Abruzzo né all’Umbria. […] Più ancora dell’Emilia e dello stesso Veneto, le Marche sono la regione dell’incontro con l’Adriatico. Questo piccolo mare qui si spiega più intimo, più libero e silenzioso, con i suoi colori strani, che lo fanno diverso da tutti i mari della terra. Parlo di certi verdi freddi, grigi traslucidi, azzurri striati di rosso, che ricordano i marmi pregiati e le pietre dure. A differenza del Tirreno, l’Adriatico ha colori rari ed eccentrici, il gusto dell’anomalia. Si direbbe che le acque si propongano di imitare materie preziose ed estranee. E la collina marchigiana, volgendosi verso l’interno,  è quasi un grande e naturale giardino all’italiana. […] E’ il prototipo del paesaggio idillico pastorale. […]

Se si volesse stabilire qual è il paesaggio italiano più tipico, bisognerebbe indicare le Marche, specie nel maceratese e ai suoi confini.

L’Italia nel suo insieme  una specie di prisma, nel quale sembrano riflettersi tutti i paesaggi del Terra, facendo atto di presenza in proporzioni moderate e armonizzandosi l’un l’altro.

L’Italia, con i suoi paesaggi, è un distillato del mondo. Le Marche dell’Italia.

Qui abbiamo l’esempio più integro di quel paesaggio medio, dolce, senza mollezza, equilibrato, moderato, quasi che l’uomo stesso ne avesse fornito il disegno. […]

E’ abitudine dei viaggiatori stranieri, cercando quale delle nostre regioni dia il senso peculiare del nostro Paese, indicare la Toscana e l’Umbria. Credo che questo accada perchè di solito le Marche sono fuori dai lori itinerari. Questa regione, infatti, non è conosciuta ai più per visione diretta in proporzione alla sua grande bellezza naturale e artistica. […]

Ma forse alla popolarità delle Marche nuoce anche l’assenza di quegli aspetti stravaganti, sorprendenti, eccitanti, che attirano le fantasie in cerca dello straordinario. Non si ritrova nelle Marche né il primitivo né l’estremamente moderno. Nulla di iperbolico. E’ una terra filtrata, civile, la più classica delle nostre terre. […]

Difficile trovare altrove una così esatta corrispondenza tra gli animi ed il paesaggio. Chi ne cerca le origini storiche ricorda che alla sua origine stanno due razze diverse: i Piceni e gli Umbri, che non riuscirono mai ad assorbirsi a vicenda. Altre influenze, come quella gallica e quella ellenica, gli passarono senza lasciare un’impronta precisa. E due volte le Marche furono sottomesse a lungo da Roma. La prima volta da Roma repubblicana, poi da Roma papale. […]

“Un viaggio nelle Marche, non frettoloso, porta a vedere meraviglie.”

Bibliografia essenziale:
Piovene G., Viaggio in Italia, Le Marche, Milano, 1957.

http://www.teche.rai.it/1956/01/viaggio-in-italia-le-marche/

Le Marche

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Il Monte Conero, uno dei luoghi simbolo delle Marche

Le Marche sono una regione dell’Italia centrale, situata lungo la costa adriatica. Essa è suddivisa in cinque province: Pesaro-Urbino, Ancona, Macerata, Fermo e Ascoli Piceno.

Già a partire dall’Età del Ferro, questa terra fu abitata da una miriade di popoli : Piceni, Siculi, Umbri e Galli. Anche nei secoli successivi, restò una terra variopinta, suddivisa in Stati più o meno estesi, più o meno duraturi. Non a caso, dopo essere stata nominata Picenum dai Romani, assunse durante il Medioevo il nome di Marche, proprio al plurale. In epoca feudale, infatti, la marca indicava un territorio di confine e le Marche lo furono di diritto, prima del Sacro Romano Impero, poi dello Stato Pontificio.

Le Marche restano un regione al plurale ancora oggi, un Arlecchino di città, di borghi, di dialetti e di paesaggi! Dai suoi colli, lo sguardo spazia dal mare Adriatico ai monti Appennini, in un paesaggio dolce e ondulato, che sembra più frutto di un sogno, che della realtà.

Le Marche in Europa

Piceni: i figli della Primavera Sacra

Le origini del popolo piceno restano avvolte ancora nel mistero. Secondo l’archeologo Pallottino, si può parlare di una civiltà medio-adriatica sviluppata, benché priva di “quel livello di strutture urbane e di espressioni architettoniche e figurative monumentali che vediamo imporsi con la colonizzazione greca nell’Italia meridionale e affermarsi nell’area tirrenica fin dal VII sec. a. C.”. I Piceni non hanno mai abbandonato il tipo di insediamento protostorico, benché avessero raggiunto forme raffinate d’arte scultorea e metallurgica, come testimoniato dai notevoli reperti scultorei e dai ricchi corredi tombali ritrovati.

I Piceni erano un popolo perfettamente conscio della propria posizione e della propria identità, posto all’interno di una fitta rete di scambi commerciali e culturali con il mondo greco, con il mondo etrusco e con le popolazioni di origine celtica del nord Europa.

Pallottini ipotizza che prima del IX secolo a. C. nell’Adriatico centrale fosse presente un gruppo etnico sostanzialmente unitario. Un indizio sarebbe da rintracciare nel nome etnico di Safini, attestato da un’iscrizione ritrovata in Abruzzo a Penna S. Andrea, nei pressi di Cermignano. Questi Safini non sarebbero stati altri che i Sabini gravitanti in area tirrenica ed i Sanniti, presenti nel sud Italia.

In Abruzzo, è certo che l’etnia sabina fosse suddivisa in varie tribù: Frentani, Maruccini, Vestini, Pretuzi, stanziati fra il Gargano e il fiume Helvinum, quest’ultimo identificabile con il torrente Acquarossa, fra Grottammare e Cupra Marittima. Anche a nord dell’Helvinum, possiamo ipotizzare che esistessero varie tribù, anche se non vi sono evidenze archeologiche che provano ciò.

Ora, possiamo supporre che in un dato momento la tribù dei Picentes o Pikenoi abbia prevalso sulle altre, fino a dare il nome alla regione compresa fra l’Aterno e l’Esino. Pallottini tiene a precisare che a nord dell’Esino non si può parlare né di Piceno né di Piceni, definendo “erronea” la “distinzione proposta dai linguisti fra iscrizioni sud picene […] e nord picene per i testi di Novilara, la cui origine resta a tutt’oggi poco chiara”. La cultura di Novilara deve essere considerata antecedente ai Piceni e va messa in rapporto con la presenza di gruppi allogeni, di varia provenienza. Non dimentichiamo che in epoca protostorica il Mediteranneo era un crocevia di popoli, che praticavano intensamente il commercio marittimo. Si può ipotizzare che i vari gruppi etnici impiantassero empori e basi di scalo, lungo le rotte marittime costiere.

Giusto per far capire quale incredibile crogiolo di etnie fossero le Marche dell’epoca protostorica, basti pensare che la tradizione storiografica greca parla di Ombrici (Umbri) stanziati a nord del Conero. Questi avevano fondato un santuario dedicato a Diomede, di cui erano devoti. Gli Umbri avrebbero abitato il nord delle Marche nello stesso periodo dei Piceni, e sarebbero stati preceduti dai Siculi, poi fondatori di Ancona e Numana.

Numerose fonti antiche fanno risalire l’etimo del termine “Piceni” al picus, il picchio, o alla pica, l’ambra. La tradizione del picchio è riportata da Tito Livio (Ab Urbe Condita, lib. XXXIV) e continua in Plinio il Vecchio. Da tali fonti, si evincerebbe che i Piceni avessero avuto origine dalla migrazione di una tribù Sabina, durante il rito della Primavera Sacra: «Orti sunt a Sabinis voto vere sacro ( Nat. Hist. III 13, 18)».

Secondo le fonti, durante la Primavera Sacra, tutti i primogeniti di uomini e animali erano sacrificati alle dinività ctonie. Questo rito cruento si ammorbidì nel tempo e fu sostituito con la migrazione coatta: i nati in primavera venivano espulsi dal villaggio d’origine. Non si può escludere un fondo di verità: l’aumento demografico imponeva la migrazione, che veniva giustificata a livello cultuale.

Paolo Diacono, nell’VIII secolo d. C.,  riassunse in epitome il De verborum significatu di Sesto Pompeo Festo (II secolo d. C.), che a sua volta costituiva un compendio del poderoso De verborum significatu di  Verrio Flacco, insigne grammatico di età augestea. In  Paul. Fest. P. 234 Lindsay, s. v. Picena Regio, leggiamo infatti: «Picena Regio, in qua est Asculum, dicta, quod Sabini cum Asculum proficiscerent, in vexillo eorum picus consederat». A Paolo Diacono fanno riferimento altre testimonianze simili, fra cui quella di Isidoro di Siviglia, che scrive nelle Etymologiae: «Picena regio, ubi est Asculum, a Sabinis est appellata quod inde vere sacro nati cum Asculum proficiscerentur, in vexillo eorum picus consederat».

Il termine vexillum farebbe pensare ad una migrazione di carattere militare. Forse, il picchio di cui parlano le fonti era animale sacro a Marte, dio della guerra. In Dionisio di Alicarnasso (1,14, 5), è riportata una notizia risalente a Varrone: nel santuario di Tiora Matiena, a 300 stadi da Rieti sulla via per Lista, esisteva un antichissimo oracolo sacro a Marte, paragonabile a quello di Dodona, in cui un picchio vaticinava su un palo. Le fonti non lo possono assicurare, ma è possibile che proprio da qui partì il ver sacrum verso Ascoli, attraverso Montereale e Amatrice.

Mappa dei ritrovamenti piceni nelle Marche

I Picenti sarebbero stati alleati dei Romani fino al 299 a.C. in funzione anti-Pretuzi, situati sotto all’Helvinum. I Romani puntarono verso l’Adriatico, cercando di dominare prima i Pretuzi, fondando probabilmente nel 289 Hatria, a sud di Teramo. Ad Hatria arrivava probabilmente la via Caecilia, la prima via publica, che collegava Roma all’Adriatico attraverso la valle del Vomano, percorsa già dai Sabini di Penna Sant’Andrea.

Mappa dei ritrovamenti piceni

Bibliografia essenziale:
AA.VV., I Piceni popolo d’Europa, Edizioni De Luca, Roma 1999, pp. 3-13.
Pallottino Massimo, “La civiltà picena”. Un’impostazione storica, in La civiltà picena nelle Marche. Studi in onore di Giovanni Annibaldi, atti del Convegno sulla Civiltà Piacena nelle Marche, 10-13 luglio 1988,  Maroni, Ancona 1988.

Augusto Murri

Ritratto di Augusto Murri
Ritratto di Augusto Murri

Nato a Fermo l’8 settembre 1841, fu medico e clinico di fama internazionale. Laureatosi a Firenze nel 1864, si perfezionò a Parigi e Berlino.

Nel 1870 divenne assistente del Baccelli a Roma; quindi, nel 1875 fu inviato a Bologna, dove divenne docente di clinica medica, ruolo che ricoprì per quarant’anni, fino al 1916. Morì a Bologna l’11 novembre nel 1932.

Fu docente di grande fama, chiamato “il sommo dei clinici”. I suoi scritti ebbero vasta circolazione e furono tradotti in varie lingue. Fra i suoi studi ricordiamo: Teoria della febbre, Meccanismo di compenso fisiopatologico del cuore, Saggio sulle perizie medico legali, Lezioni di clinica medica. Importanti anche le ricerche sulle malattie cerebrali, in particolare sui tumori intracranici, sulle affezioni sifilitiche del cervello, sull’ascesso cerebrale cronico.

Murri fu anche deputato parlamentare e consigliere superiore della pubblica istruzione. A Fermo, gli è intitolato l’Ospedale Civile, che ha sede nell’omonima via.

Bibliografia essenziale:
Dizionario storico-biografico dei marchigiani, Il lavoro editoriale, 1993, tomo II.